di Francesca Cecchini

 

Sarà la sala Goldoniana dell’Università per Stranieri di Perugia ad ospitare, giovedì 13 e venerdì 14 ottobre il corso di formazione ECM I volti della violenza. Ricatto, potere, discriminazione. Un percorso su come riconoscerla, individuare gli indicatori psicologici ed intervenire a cura dell’associazione Margot che da anni si occupa di violenza di genere e tutela dei diritti umani e alla sicurezza. Il corso, proseguo del primo organizzato lo scorso anno incentrato sui temi della violenza intrafamiliare, amplia il suo obiettivo e, oltre all’analisi delle dinamiche che stanno alla base della violenza e dell’individuazione dei vari tipi di violenza a cui sono sottoposte le vittime, punta a dare più spazio all’indagine, fornendo nuovi strumenti agli operatori che lavorano nel campo della sanità. Non essere preparati a lavorare sulla violenza potrebbe infatti comportare un atteggiamento di minimizzazione di alcuni aspetti o segnali con un conseguente non riconoscimento della violenza.

“Il corso – ci spiega la Dottoressa Lucia Magionami che è il relatore scientifico – è rivolto a tutti i professionisti che lavorano nel campo della violenza per costruire un linguaggio comune e un approccio condiviso che renda più veloce e funzionale l’intervento d’aiuto. L’obiettivo ambizioso è quello di portare nel tempo un cambiamento di ottica verso una società meno violenta”.

La violenza intrafamiliare è un ‘fenomeno’ di cui si parla purtroppo sempre più spesso. Eppure, nonostante ciò, il fenomeno non sembra arrestarsi. Perché?

Uno dei motivi è che solo adesso, grazie all’attenzione crescente dei mezzi di comunicazione, le vittime hanno trovato il coraggio di parlare e denunciare quanto stavano vivendo da anni. La vergogna, il pregiudizio, il timore di ritorsioni hanno indotto troppe vittime al silenzio. Preferivano rileggere la propria condizione perfino attribuendo a se stesse la colpa d’aver scatenato la violenza subita. La sfiducia nelle Istituzioni ha fatto il resto. Uscire allo scoperto, cercare giustizia, rivedere la propria condizione, cercare nuova vita sono atti di coraggio che comportano rischi. Alcune vittime scelgono di soccombere moralmente, e, questo, è l’obiettivo ‘principe’ del violento: annientare psicologicamente, prima che fisicamente, la propria vittima. Le conquiste fatte sono arrivate per l’impegno collettivo e solo attraverso questo possiamo sperare che la cultura della violenza arretri e si estingua.

Nel 2015 Margot ha aperto uno sportello in Umbria per autori di maltrattamenti. Quanti autori di maltrattamenti si sono rivolti a voi fino ad oggi e, soprattutto, quanti di loro intraprendono il vero percorso di guarigione?

Preferirei non usare la parola guarigione. Chi agisce violenza non è malato, sono pochi i soggetti con disturbi di personalità che agiscono violenza all’interno della coppia. La patologia richiede un trattamento ma il trattamento non risolve la violenza in sé. Dall’apertura dello sportello si sono rivolti a noi diciotto uomini. Possiamo ritenere di aver apportato cambiamenti in cinque di loro. Hanno raggiunto la fine del percorso prescritto attraverso un intervento. Alcuni soggetti hanno infatti esplicitamente chiesto un intervento terapeutico per modificare il loro agito e rielaborare un vissuto pregresso di violenza subita. Gli altri sono attualmente in carico, pertanto una valutazione dei risultati è ancora prematura. Alcuni di loro sono stati inviati verso strutture pubbliche o professionisti nel territorio.

Generalmente sentiamo parlare di uomini “maltrattanti” ma, in alcuni casi, anche di donne. Come cambiano i meccanismi quando è ‘lei’ a compiere violenze?

Gli uomini maltrattati dalle compagne esistono. Vivono i medesimi stati emotivi di vergogna e impotenza che colpiscono la vittima donna. È l’abbandono della relazione il fulcro delle sofferenze emotiva per entrambi i generi ma gli uomini, presenti in numero esiguo, non appaiono terrorizzati come le donne. Le donne vengono ferite più gravemente sul piano fisico, fino al femminicidio.

Torniamo al corso durante cui, tra l’altro, si parlerà del “contesto culturale per dare una dimensione del fenomeno”. Qual è il contesto culturale più colpito?

Proprio perché la violenza è un fenomeno complesso, trasversale e poco visibile, cercheremo in questo corso di far capire che nessuno di noi è immune dalla violenza. Tutti, in qualche modo, siamo a rischio. Il contesto culturale in cui la violenza di prevaricazione si scatena non è tratteggiabile come univoco. Possono esserci condizioni di disagio sociale, sì, ma non necessariamente. Possiamo trovarci di fronte a prevaricazioni di genere in cui vecchie concezioni di rapporto coniugale si scontrano con la realtà di emancipazione femminile. La violenza può serpeggiare in forme non necessariamente fisiche in ambienti di agio sociale o di concorrenza lavorativa. Di certo si assiste ad una crescente deresponsabilizzazione degli individui rispetto al dovere dell’assistenza e della promozione umana interne al nucleo familiare. Altre vie della violenza sono quelle legate al rifiuto dei ruoli generazionali per cui l’assunzione di un ruolo legato alla procreazione si è scollegato dalle aspettative di realizzazione di vita. Una parola chiave, tutta da meditare, è ‘insofferenza’.

La violenza perpetrata attraverso “i nuovi strumenti tecnologici e le varie piattaforme di condivisione di informazioni su internet”. Il progredire di internet non dovrebbe essere di aiuto?

Non necessariamente. Internet ha avvicinato le distanze e abbreviato i tempi. Viviamo però in una costante proiezione verso la dimensione virtuale e moduliamo sempre più i comportamenti in funzione della risposta della rete, sentendoci connessi anche quando non lo siamo. Se parliamo poi di soggetti finiti nella violenza ‘cyber’, l’incidenza di questi potentissimi strumenti è elevatissima. La solitudine e la persecuzione sono avvertite in maniera devastante proprio perché i soggetti si sentono esposti alla incessante vessazione di chiunque voglia, in ogni momento, senza salvaguardia della propria intimità. Così la sensazione di vergogna e il senso di impotenza incatenano la persona alla risposta della rete. La sua dignità percepita dipende, dunque, dalla rete. I video, i ricatti, le fotografie sono armi minacciate o usate per esercitare un maggior controllo sulla persona, da sempre. Lo strumento cibernetico moltiplica il potenziale diffamatorio e riesce rapidamente a gettare nella costernazione la vittima, privata di strumenti difensivi. A quel punto, nemmeno la solidarietà di molti riesce a sostenere la persona aggredita. I risultati, come sappiamo, sono pericolosissimi, a volte letali.

Il corso si chiude con un argomento ancora ben poco trattato: la violenza nelle coppie lgbt. Il meccanismo è diverso rispetto ad una coppia eterosessuale?

Le dinamiche di prevaricazione e di violenza sono universali. L’esperienza clinica e la letteratura cumulata in questi decenni tendono da un lato a riferire i casi ai paradigmi generali che inquadrano i fenomeni di violenza, e dall’altro a cercare discriminati. Una nuova e propria forma di violenza identificabile come lesbo, gay, bisex o transgender non appare all’evidenza. Per capire i meccanismi e le dinamiche abbiamo chiamato due relatori esterni all’associazione Margot. Sono due professionisti esperti in questa tematica settoriale. Ci porteranno loro strumenti adeguati di lettura di intervento.

Per informazioni ed iscrizioni consultare il sito ufficiale Margot Project.