Di “Sara Sesti”.
Fu la più famosa delle ”Mulieres Salernitanae”, le Dame della Scuola Medica di Salerno, dove la scienziata studiò e insegnò. Le sue teorie precorsero i tempi in molti campi tra cui quello della prevenzione e dell’igiene. Fu autrice di trattati di medicina che mostrano eccezionali conoscenze in campo dermatologico, ginecologico ed ostetrico. La sua figura si inserisce nella lunga tradizione – che attraversa l’Antichità e il Medioevo – delle donne attive in professioni mediche. La sua eccezionalità è dovuta al fatto di aver scritto il proprio insegnamento, ponendolo sul piano di un sapere tramandabile.
I dettagli della vita di Trotula sono sconosciuti. Di lei si sa che visse attorno al 1050 a Salerno, città aperta agli scambi economici e culturali con tutto il Mediterraneo, uno dei luoghi più vitali del mondo allora conosciuto. Discendeva dall’antico casato dei “de Ruggiero” e , come membro della nobiltà, ebbe la possibilità di frequentare le scuole superiori e di specializzarsi in medicina. Non ci sono testimonianze dirette dei suoi studi, ma diverse annotazioni si riferiscono a lei in tal senso. Sposò il medico Giovanni Plateario da cui ebbe due figli che continuarono l’attività dei genitori. La Scuola Medica di Salerno fu il primo Centro di Cultura non controllato dalla Chiesa e divenne talmente rinomata da essere considerata la prima università d’Europa. In quel luogo si cominciò a tradurre dall’arabo in latino i testi di medicina degli antichi scienziati greci, rendendoli nuovamente accessibili agli studiosi occidentali. La Scuola era aperta anche alle donne che la frequentavano sia come studentesse che come insegnanti e Trotula fu uno dei suoi membri. Le sue lezioni furono incluse nel De agritudinum curatione, una raccolta degli insegnamenti di sette grandi maestri dell’università e collaborò con il marito ed i figli alla stesura del manuale di medicina Practica brevis.
Trotula ebbe idee innovative sotto molti aspetti: considerava che la prevenzione fosse l’aspetto principale della medicina e propagava nuovi e per l’epoca insoliti metodi, sottolineando l’importanza che l’igiene, l’alimentazione equilibrata e l’attività fisica rivestono per la salute. Non ricorse quasi mai a pratiche medievali rivolte all’astrologia, alla preghiera e alla magia. In caso di malattia consigliava trattamenti dolci che includevano bagni e massaggi, in luogo dei metodi radicali spesso utilizzati a quel tempo. I suoi consigli erano di facile applicazione e accessibili anche alle persone meno abbienti.
Le sue conoscenze in campo ginecologico furono eccezionali e molte donne ricorrevano alle sue cure. Fece nuove scoperte anche nel campo dell’ostetricia e delle malattie sessuali. Cercò nuovi metodi per rendere il parto meno doloroso e per il controllo delle nascite. Si occupò del problema dell’infertilità, cercandone le cause non soltanto nelle donne, ma anche negli uomini, in contrasto con le teorie mediche dell’epoca. Il De passionibus segna la nascita dell’ostetricia e della ginecologia come scienze mediche. Tra le importanti nozioni in esso contenute, vi è la necessità di suturare chirurgicamente le lesioni perineali.
Annotò queste scoperte nella sua opera più conosciuta il De passionibus Mulierum Curandarum (Sulle malattie delle donne), divenuto successivamente famoso col nome di Trotula Major, quando venne pubblicato insieme al De Ornatu Mulierum (Sui cosmetici), un trattato sulle malattie della pelle e sulla loro cura, detto Trotula Minor.
I due testi erano scritti in latino medievale, una lingua diffusa in tutta l’Europa. Il primo le fu richiesto da una nobildonna e si rivolgeva alle donne, “ché non parlano volentieri delle loro malattie agli uomini, per un sentimento di pudore”. La trattazione risulta straordinaria anche perchè, per la prima volta, una medica parla esplicitamente di argomenti sessuali, senza coinvolgervi nessun accento moralistico. Accanto all’elaborazione teorica delle esperienze, nel testo si trovano numerosi esempi pratici. Poichè Trotula conosceva gli insegnamenti di Ippocrate di Kos (460-377 a.C.) e di Claudio Galeno (129-200 d.C.), vi faceva riferimento nelle sue diagnosi e nei suoi trattamenti, agendo una antica concezione della natura che legava le caratteristiche della persona all’intero cosmo. Nel Trotula Minor, l’autrice si occupa della bellezza: scrive di rimedi per il corpo, di pomate e di erbe medicamentose per il viso ed i capelli e dispensa consigli su come migliorare lo stato fisico con bagni e massaggi. Questo argomento non rappresenta un aspetto frivolo dei suoi testi, per Trotula lo sguardo sulla bellezza di una donna ha a che fare con la filosofia della natura cui si ispira la sua arte medica: la bellezza è il segno di un corpo sano e dell’armonia con l’universo. L’invemzione del sapone è da attribuire a lei: il segreto di una perfetta miscela di oli ed essenze che potessero cospargere la pelle, in particolare delle donne, senza corroderla alla lunga, lo scoprì grazie ai suoi studi botanici. Osservando piante e fiori, infatti, la più famosa delle Mulieres Salernitanae, le Dame della Scuola Medica di Salerno (dove la scienziata studiò e insegnò), scoprì un ancora sconosciuto potere antibatterico dei petali di rosa. Pensò, allora, introdurre nei saponi femminili petali di rose ed essenze (acqua di rosa) provenienti dai roseti che profumavano tutto il ducato Amalfitano. Il sapone cosi modificato, unito a lavande con bicarbonato, risolveva numerosi problemi femminili, aumentando la carica naturale antibatterica del sapone. Molte, infatti, le ricette cosmetiche che riguardano la pelle, il sorriso, le labbra, le mani, l’alito, i capelli. Un lungo e minuzioso lavoro il cui frutto sono l’analisi e il trattamento di ben 96 piante e derivati, e la creazione di 20 preparati di origine animale e derivati, 17 minerali e 6 preparati misti, per un totale di 63 ricette, in grado di ottenere altrettanti rimedi a scopo cosmetico e/o medicinale. Tutti gli argomenti trattati, però, non rappresentavano per Trotula De Ruggiero un aspetto frivolo della cura della donna, perché per lei la bellezza era il segno di un corpo sano e della sua armonia con l’universo: le erbe medicamentose, le pomate naturali, i bagni, i massaggi erano tutti metodi curativi utili a qualunque donna per vivere in maniera serena il rapporto con il proprio corpo e di conseguenza quello con la propria psiche. Nel XIII secolo le idee e i trattamenti di Trotula erano conosciuti in tutta l’Europa e facevano già parte della tradizione popolare. I suoi scritti vennero utilizzati fino al XVI secolo come testi classici presso le Scuole di medicina più rinomate. Il Trotula Maior, in particolare, venne trascritto più volte nel corso del tempo subendo numerose modificazioni, inoltre, come altri testi scritti da una donna, venne impropriamente attribuito ad autori di sesso maschile: ad un anonimo, al marito o ad un fantomatico medico “Trottus”. Nel XIX secolo alcuni storici, tra cui il tedesco Karl Sudhoff, negarono la possibilità che una donna avesse potuto scrivere un’opera così importante e cancellarono la presenza di Trotula dalla storia della medicina. La sua esistenza fu però recuperata, con gli studi di fine Ottocento, dagli storici italiani per i quali l’autorità di Trotula e l’autenticità delle Mulieres Salernitanae sono sempre state incontestabili.
Da “Che tempo che fa”. 19.09.2020
https://www.facebook.com/chetempochefa/posts/4603364663038947
Da “La Repubblica”. 18.09.2020
La polizia fa allontanare da casa il padre pakistano in lite con la moglie contraria alle nozze combinate: lui ha impugnato un coltello
Da “Fanpage”.
Lucia Perez è morta a 16 anni dopo essere stata drogata, stuprata e impalata, nell’ottobre 2016. Pochi giorni fa i giudici di Mar del Plata hanno assolto dall’accusa di omicidio e stupro i tre imputati, ritenuti responsabili solo per il reato che riguarda lo stupefacente. L’assoluzione ha sconvolto l’opinione pubblica di tutto il mondo, suscitando la protesta dei movimenti femministi: “Sentenza patriarcale”.
AMERICHEESTERIdi Angela Marino
Il caso di Lucia Perez, sedicenne drogata e seviziata mortalmente tramite impalamento, in Italia è sempre stato relegato in fondo alle pagine di cronaca o nei blog delle cosiddette femministe. La sua valenza come fenomeno politico, nella cultura italiana, è passata in sordina, ma anche la portata mediatica della storia – assimilabile a quella di Pamela Mastropietro – è sempre stata bassissima. Perché?
La morte di Lucia
Ricordiamo innanzitutto i fatti. L’8 ottobre 2016, Lucia, sedici anni, studentessa di quinta superiore di una famiglia di modesta estrazione sociale, finisce al pronto soccorso dell’ospedale di Mar del Plata, a pochi chilometri da Buenos Aires. Praticamente abbandonata all’ingresso da due sconosciuti che mormorano di ‘overdose’, muore pochi istanti dopo i tentativi di rianimazione. Un’altra tossicodipendente sbandata. L’esame medico legale porta alla luce una fine molto diversa: Lucia è stata stuprata brutalmente, torturata con un oggetto contundente nel retto che ne ha causato la morte. Prima di trasportarla in ospedale i suoi carnefici l’hanno lavata dal sangue, le hanno messo degli abiti puliti e l’hanno scaricata davanti all’ospedale.
Primo sciopero femminile in Argentina
In Argentina si scatena immediata la reazione della rete per i diritti delle donne che porta al primo sciopero generale femminile del Paese e a una serie di manifestazioni contro la violenza patriarcale, che per osmosi vengono replicate anche in Europa. Anche processualmente il caso sembra semplice, ci sono tutti gli elementi per ipotizzare l’omicidio come conseguenza della violenza sessuale a carico di due imputati: il 23enne Matías Farías, e il 41enne Juan Pablo Offidani. Un terzo sospettato, Alejandro Alberto Masiel, viene accusato sono di favoreggiamento.
Assolti gli assassini, sotto inchiesta la pm
È il processo a rendere unica la storia di Lucia Perez. Per la pm Maria Isabel Sanchez, gli imputati Farias e Offidani hanno attirato in casa di Farias, approfittando della sua dipendenza dalle droghe, la povera Lucia. Nell’appartamento del 23enne con marijuana e cocaina, l’hanno stuprata bestialmente e poi hanno cercato di occultarne la morte. Per la difesa, invece, la morte della ragazzina sarebbe avvenuta al limite di un rapporto sadomaso (non si può negare l’utilizzo di un bastone) di natura consenziente. Chi ha ragione? Le conclusioni dei giudici, a dispetto del clamore e della commozione suscitati dal caso, pendono in favore della difesa. Colpevoli solo di averle venduto la droga i due imputati vengono assolti dall’accusa di omicidio e perfino di stupro.
Un caso politico
E qui che il caso Perez si carica ancor di più di connotazioni politiche. La pm Maria Isabel Sanchez viene accusata di aver condizionato l’opinione pubblica diffondendo alla stampa i particolari dell’esame autoptico e messa sotto inchiesta. Alla fine del processo il massacro della povera Lucia, per i giudici Pablo Viñas, Facundo Gómez Urso e Aldo Carnevale (motivazioni della sentenza) è solo “il parto dell’immaginazione della Sanchez”. Dunque, non solo la morte non viene collegata alle sevizie sessuali come conseguenza calcolata, ma neanche come conseguenza accidentale, caso in cui avrebbe dovuto essere contestato almeno l’omicidio colposo. E invece niente. Per la morte di Lucia, si evince dalle parole dei giudici, non bisogna incolpare nessuno, se non lei stessa.
“Non perdoniamo: è stato femminicidio”
Qui abbiamo lasciato i fatti, con la sentenza del 28 novembre 2018 emessa dal tribunale di Mar del Plata, l’ennesima pagina nera, anzi nerissima, della giustizia che calpesta la dignità della vittima, solo perché donna. Così commenta ‘Ni una menos’:
Lucía Pérez è stata uccisa due volte. La prima dagli esecutori diretti; la seconda, da coloro che li hanno assolti e che così hanno negato che due adulti che somministrano cocaina per assoggettare un’adolescente sono responsabili di abuso e femminicidio. Vogliono dirci che la sua vita non ha alcun valore, che le relazioni di potere che sono alla base della violenza maschilista non esistono, che l’enorme movimento femminista che ha portato il suo sorriso come bandiera di lotta in tutti gli angoli del paese, deve zittirsi. Non lo faremo, non perdoniamo, non dimentichiamo, non ci riconciliamo. È stato femminicidio.
In Italia, dove per la povera Pamela è andato in scena un analogo scempio, la notizia stranamente non ha attecchito. Eppure poteva essere un qualunque delle nostre ragazze. Anzi, forse lo è stata.
https://www.fanpage.it/esteri/lucia-perez-seviziata-e-uccisa-con-un-palo-a-16-anni-per-i-giudici-era-consenziente/
Da “Repubblica”. 07.09.2020
L’unico a soccorrerlo un carabiniere fuori servizio. “Lo carezzavo, gli dicevo di stare tranquillo”. Solo dopo mezz’ora i vicini hanno avvisato il 112. I picchiatori avevano disattivato i lampioni.
COLLEFERRO – Ci sono voluti venti minuti per uccidere Willy Monteiro Duarte. Tanto è durato il pestaggio del 21enne massacrato a calci e pugni per aver provato a difendere un amico nel centro di Colleferro. Si aggrava la posizione dei quattro giovani arrestati per il pestaggio: Mario Pincarelli, di 22 anni, Francesco Belleggia di 23, i fratelli Marco e Gabriele Bianchi (24 e 26) e di un quinto amico, al momento solo indagato.
https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/09/07/news/l_ultima_carezza_per_willy_pestato_per_venti_minuti_il_raid_era_premeditato_-266532341/?ref=fbpr
Da “Ultimavoce”. 03.04.2020
L’allarme lanciato su Twitter: “Moltissime ragazze coinvolte”
Se avete l’app di Telegram installata sul vostro smartphone, potreste aver notato, negli ultimi giorni, un’intensificazione di notifiche simili a “Mario Rossi si è unito a Telegram”. Fin qui nulla di male. E’ successo anche a me e fin qui non ho dato molto peso alla cosa: molti enti come i Comuni, recentemente, hanno aperto dei canali per aggiornare i loro cittadini sull’emergenza Coronavirus, sul numero dei contagi e dei decessi relativi alla propria zona.
E invece no.
“Anima candida”, mi sono detta da sola, quando invece ho scoperto che Telegram, in questi ultimi giorni, complice probabilmente la noia dell’isolamento, sta avendo un nuovo boom di iscrizioni per via del proliferare di chat in cui gli utenti si scambiano materiale sensibile, spesso relativo anche ai minori. In queste chat, migliaia di uomini postano fotografie, video e dati di donne senza il loro permesso, magari accedendo alle loro bacheche Facebook e Twitter.
@lottafemminista
Carissima @lauraboldrini,
Volevo segnalarle che esistono molti gruppi telegram italiani che pubblicano foto di donne senza il loro consenso. Queste foto vengono usate per fini che non starò qui a spiegarle in 248 caratteri ma le lascio qualche screen.Spero che lei possa aiutarci
1.41602:22 – 3 apr 2020Informazioni e privacy per gli annunci di Twitter647 utenti ne stanno parlando
L’allarme è stato lanciato da Twitter, dove alcune utenti si sono rivolte agli account della Polizia di Stato, ma anche all’on. Laura Boldrini per segnalare il fenomeno. I gruppi Telegram hanno nomi che lasciano poco spazio all’interpretazione e al garantismo, contenendo già di per sé minacce di stupro e di violenza.
I numeri di alcuni di questi gruppi Telegram raggiungono cifre impressionanti, oltre i 40 mila contatti. Di questi, ne sono già stati segnalati moltissimi. Gli amministratori dei gruppi stessi e dei canali ad essi collegati, però, hanno già provveduto a crearne i doppioni. Si può segnalare alla polizia postale, a Telegram stesso o a chiunque abbia il potere di fermare queste violenze online, ma la punizione, come ipotesi remota, dei colpevoli, cosa restituisce a chi si ritrova una propria fotografia che ha fatto il giro di Internet?
Un fenomeno nuovo?
Il fenomeno non è certo nuovo. A gennaio dello scorso anno, Luca Zorloni di Wired Italia aveva sondato gli abissi di queste chat in un suo articolo. Becero maschilismo, fantasie violente, esaltazione di gruppo tramite il revenge porn: ecco il manifesto di una delle tante chat. Immagini di ragazzine, filmati rubati di donne in intimità, screenshot di Facebook, Twitter, Instagram, ma anche immagini scattate di nascosto sugli autobus o in metropolitana senza che le vittime se ne accorgano. Si arriva anche a scambiarsi numeri di telefono per una spedizione punitiva via Whatsapp alla ex fidanzata da parte del gruppo. Si alza l’asticella e si parla di droga dello stupro.
Perché proprio Telegram?
Telegram è un’applicazione che consente di chattare senza bisogno di mostrare il proprio numero di telefono o il proprio nome, nascondendosi dietro pseudonimi. Spesso, però l’anonimato non è nemmeno quello che gli utenti cercano, visto che in questi gruppi molti esibiscono nomi veri e foto profilo facilmente riconducibili ai propri social.
Dal punto di vista legale
Si parla di un vero e proprio contrabbando di immagini private e la sola pubblicazione di una foto online senza consenso è un illecito. Nel caso delle fotografie di nudo, la divulgazione provoca anche un danno e l’articolo 167 del codice della privacy comporta la reclusione fino a tre anni. Per gli insulti, che configurano invece il reato di diffamazione, è previsto il carcere (da sei mesi a 3 anni) e una multa di almeno 516 euro.
Ancora più gravi le sanzioni in materia di minori. Per la detenzione e la diffusione di materiale sensibile in merito, la reclusione va da uno a cinque anni e la sanzione pecuniaria da 2.582 a 51.645 euro. Con la divulgazione del numero di una persona al fine di perseguitarla, invece si parla di stalking. La reclusione in questo caso può arrivare ai 5 anni.
Dal 9 agosto del 2019, però, comportamenti simili possono configurare il reato di “revenge porn“, con l’articolo 612 ter del codice penale rubricato “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”. Il colpevole è punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro. E’ previsto anche un aumento di pena se il reato è portato avanti da una persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla vittima oppure se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici.
Non solo fotografie intime
Lo zoom sulla scollatura di una ragazza in metro, il sedere di una donna in fila alla posta, le battute a sfondo sessuale su qualsiasi insignificante dettaglio della propria conformazione fisica sono la conferma che ai moralisti non piace sentirsi dire. “Non bisogna mandare a nessuno le proprie fotografie intime”: è una regola di buonsenso che, spesso, ci troviamo a tramandare di bambina in bambina, di ragazza in ragazza. Anche se tutte noi, però, applicassimo pedissequamente questo insegnamento, il problema non si risolverebbe. I gruppi Telegram, infatti, trasbordano di scatti rubati, simbolo di una volontà maschilista e patriarcale di possesso, non arginabile con il semplice “Non mandare in giro foto nuda”.
Come ci si può però proteggere dall’amico con cui si fa un selfie innocuo e questo lo manda su un gruppo Telegram di aspiranti stupratori? Come si può pensare di dover cambiare numero di telefono perché un ex fidanzato potrebbe condividerlo con migliaia di complici online e renderci la vita un inferno? Non si devono mettere più le proprie foto in spiaggia su Instagram? Perché altrimenti gli uomini, dominati dai loro istinti animali, poi, “per forza” le condividono?
Il problema è soprattutto culturale
Il problema, ancora una volta, è culturale e non è solo legato ai gruppi Telegram. Cos’è infatti la condivisione di una fotografia delle vacanze al mare della propria compagna di università in un gruppo di maschi famelici? Perché la si condivide? No, vi rendete conto da soli che la risposta “Perché è bona” non basta. Vi carica il sentire gli altri del gruppo sfogare le loro frustrazioni sessuali sulla povera malcapitata? Vi volete vendicare perché non è uscita con voi? Perché questa violenza esasperata vi illude di dominare ancora sul genere femminile? Perché non accettate l’emancipazione? Non c’è una sola motivazione.
E soprattutto, la domanda vera è ancora un’altra. Dobbiamo davvero accontentarci di insegnare alle nostre figlie, alle nostre amiche e alle nostre sorelle che non si mettono le proprie foto online, di nessun genere, perché altrimenti gli uomini le condividono? Dobbiamo davvero adattarci noi donne, perché gli uomini, altrimenti, per forza poi ti violentano? Online o offline, poco cambia.
Da “Lettera43”. 08.04.2020
Le richieste d’aiuto da parte delle donne bloccate in casa con il proprio aguzzino sono aumentate ovunque: dal 25% della Gran Bretagna al 30% della Francia. In Spagna alcuni alberghi diventano rifugi. Mentre in Turchia è allarme femminicidi. Lo scenario.
Mentre il mondo è impegnato a fronteggiare la pandemia da coronavirus, le vittime di violenza costrette alla quarantena vivono un doppio, silenzioso dramma.
Restare a casa con i propri aguzzini è una condanna per queste donne, sottoposte a violenze psicologiche, manie di controllo, botte. Se la necessità è quella di fuggire, però, trasgredire alle misure anti-contagio è permesso, come hanno ricordato a Lettera43.it la deputata Lucia Annibali e l’associazione Differenza Donna. La ministra delle Pari Opportunità Elena Bonetti si è detta soddisfatta per gli emendamenti al Dl Cura Italia votati all’unanimità nella Commissione d’inchiesta sul femminicidio del Senato circa il reperimento degli alloggi necessari alle vittime che fuggono dalla violenza domestica.
Ma nel resto del mondo, dove il lockdown è iniziato più tardi rispetto all’Italia, come vanno le cose? Per quanto riguarda la violenza domestica, piuttosto male. Quella che si sta delineando è un’emergenza nell’emergenza. I numeri di aiuto stanno ricevendo un enorme numero di segnalazioni, davanti alle quali i governi sono impreparati.
Le Nazioni Unite hanno chiesto un’azione urgente per combattere l’ondata mondiale di violenza domestica. «Esorto tutti i governi a prendere misure per prevenire la violenza contro le donne e fornire rimedi per le vittime come parte del loro piano d’azione nazionale contro Covid-19», ha scritto il segretario generale António Guterres su Twitter. Ma è già tardi, ha fatto notare il New York Times, sostenendo che i governi non sono stati in grado di prepararsi all’emergenza. Ora si sta facendo il possibile per offrire servizi a chi è a rischio. Ma ricordiamo che sono tantissime le vittime di violenza che in questo periodo non riescono a chiedere aiuto perché sempre a fianco del proprio carnefice che mantiene su di loro un controllo totale. «Terrorismo intimo», lo definiscono gli esperti
QUANDO L’ISOLAMENTO AUMENTA GLI ABUSI
Il Nyt racconta la storia di una 26enne cinese: mentre le città del Paese imponevano il lockdown, si è trovata intrappolata in un crescendo di discussioni con suo marito, con il quale era costretta a trascorrere 24 ore al giorno nella loro casa nella provincia di Anhui, nella Cina orientale. Il primo marzo, mentre la donna teneva in braccio la figlia di 11 mesi, suo marito ha cominciato a picchiarla con il seggiolone facendola cadere a terra con la piccola. La donna ha raccontato di essere stata vittima di maltrattamenti per tutti i sei anni della relazione, ma che l’isolamento aveva peggiorato le cose.
IN SPAGNA APERTI GLI ALBERGHI PER OSPITARE LE VITTIME DI ABUSI
In Spagna per ovviare alla carenza di posti nei rifugi per donne maltrattate e figli si sono aperte le porte degli alberghi. È una delle misure adottate con un decreto reale che rafforza la protezione delle vittime di tutti i tipi di violenza di genere, comprese le vittime della tratta e dello sfruttamento sessuale, durante la quarantena. «Dobbiamo continuare a proteggere le nostre donne e di mettere in campo tutte le risorse necessarie», ha detto la portavoce dell’esecutivo spagnolo María Jesús Montero. In Spagna, il numero di emergenza per violenza domestica a marzo ha il 18% di chiamate in più nelle prime due settimane di blocco rispetto allo stesso periodo del mese precedente. Con l’aiuto delle associazioni femminili, il New York Times ha contattato donne spagnole bloccate a casa con un marito o un partner violento e condotto interviste su WhatsApp. Una di loro, Ana, regolarmente abusata dal partner, ha raccontato la totale sorveglianza alla quale è sottoposta: se lei cerca di chiudersi in una stanza, lui prende a calci alla porta finché non la apre. «Non posso nemmeno avere la privacy in bagno», ha scritto in un messaggio inviato al quotidiano a tarda notte.
I RITARDI BRITANNICI NELL’AFFRONTARE L’EMERGENZA
Nel Regno Unito l’helpline del National Domestic Abuse ha visto un aumento del 25% delle chiamate e delle richieste di aiuto online dal momento del blocco, ha confermato alla Bbc l’associazione Refuge, l’ente che gestisce la linea di assistenza. Una donna, fuggita dal suo molestatore, ha raccontato che la sua vita con il lockdown era diventata intollerabile: aveva subito abusi psicologici e fisici da parte del suo partner per sei mesi ma con il blocco le cose sono peggiorate notevolmente. Il 23 marzo il New York Times aveva contattato il ministero degli Interni britannico chiedendo quali misure sarebbero state adottate per fronteggiare la violenza domestica. Il ministero aveva risposto che sarebbero state disponibili solo i centri già esistenti di consulenza e supporto. Il governo ha successivamente pubblicato un elenco di hotline e app, ma solo una è stata appositamente studiata per la crisi da Covid-19.
FRANCIA, ATTENZIONE ALLE BARRIERE LINGUISTICHE
Il 2 aprile la polizia francese ha denunciato un aumento nazionale di circa il 30% delle violenze domestiche dall’inizio del lockdown. L’attrice Jane Birkin – residente in Francia da tempo – è il volto di una nuova campagna con cui si invitano le vittime di violenze che parlano solo inglese a cercare aiuto. Questo perché, nonostante le numerose iniziative lanciate dal governo francese, la barriera linguistica potrebbe rappresentare un ulteriore ostacolo. Per lo stesso motivo l’organizzazione Women for Women France ha lanciato una propria campagna di sensibilizzazione in una varietà di lingue.
TURCHIA: ALLARME PER L’AUMENTO DEI FEMMINICIDI
Con l’isolamento forzato cresce la preoccupazione anche in Turchia. Secondo le statistiche rese note dal dipartimento di polizia di Istanbul, con la riduzione della circolazione nel mese di marzo si è registrato su base annua un calo dei reati del 14,5%, dai furti agli omicidi, ma un aumento del 38,2% degli episodi segnalati di violenza domestica, che sono passati da 1.804 a 2.493. Un dato che si aggiunge a quello della piattaforma Fermeremo i femminicidi, secondo cui dall’11 marzo – quando le autorità turche hanno invitato i cittadini a rimanere a casa – alla fine del mese sono state uccise almeno 21 donne. Nell’intero mese, invece, i femminicidi sono stati almeno 29, con nove casi considerati sospetti. L’ong ha chiesto alle autorità di introdurre misure specifiche di tutela per le donne in un Paese in cui nel 2019 i femminicidi erano stati 411.
L’ARGENTINA ESENTA DALLA QUARANTENA LE VITTIME DI VIOLENZA
In Argentina le donne e i membri della comunità Lgbt vittime di violenza sono esentati dal rispetto della quarantena. La disposizione, firmata dalla ministra delle Donne, generi e diversità, Elizabeth Gómez Alcorta, permette in sostanza di uscire di casa per poter presentare denuncia o per chiedere aiuto.
BRASILE: CAMPAGNA SOCIAL PER METTERE IN GUARDIA GLI AGGRESSORI
In Brasile l’associazione femminista O Que Nao Nos Disseram (Quello che non ci hanno detto) ha lanciato su Instagram una campagna per garantire alle donne vittime di violenza all’interno delle loro case il diritto di rifugiarsi dove si possano sentire sicure, e di poter denunciare chi le aggredisce. In un post sui social, l’associazione ha pubblicato la foto di un biglietto appeso nell’ascensore di un palazzo di San Paolo, con un doppio messaggio: uno per gli aggressori e un altro per le vittime. Ai primi, si ricorda che «con o senza pandemia, la violenza contro le donne è un crimine, e non potrete nascondervi dietro al Covid-19: abbiamo gli occhi aperti e chiameremo la polizia!». In quanto alle vittime, il messaggio è che «non siete sole» e «se avete bisogno di aiuto, potete venire all’appartamento 602». «Potete gridare, potete chiedere aiuto, la nostra porta è aperta per voi». A Rio de Janeiro i casi denunciati di violenza domestica sono cresciuti del 50% dall’inizio dell’emergenza coronavirus, secondo i registri delle autorità giudiziarie, citati dai media brasiliani.
Da “Il Mattino.it”. 06.04.2020
Allarme in Turchia per la violenza sulle donne. Con l’isolamento casalingo contro il coronavirus cresce la preoccupazione per la situazione delle donne vittime di abusi e violenze in famiglia. Secondo le statistiche rese note dal dipartimento di polizia di Istanbul, con la riduzione della circolazione nel mese di marzo si è registrato su base annua un calo dei reati del 14,5%, dai furti agli omicidi, ma un aumento del 38,2% degli episodi segnalati di violenza domestica, passando da 1.804 a 2.493.
Il dato si aggiunge all’allarme lanciato dalla piattaforma “Fermeremo i femminicidi”, secondo cui dall’11 marzo – quando le autorità turche hanno lanciato il primo appello generalizzato alla popolazione a restare a casa – alla fine del mese sono state uccise almeno 21 donne, mentre in tutto marzo i femminicidi sono stati almeno 29, oltre a 9 donne trovate morte in situazioni «sospette». L’ong chiede quindi alle autorità di introdurre misure specifiche di tutela per le donne. Secondo la stessa piattaforma, nel 2019 i femminicidi in Turchia erano stati almeno 411.
Da “MilanoToday”. 03.04.2020
Il dramma nel pomeriggio di giovedì a Rho. A dare l’allarme è stata la mamma dell’uomo.
Un colpo di pistola per la sua compagna. Un altro per lui. Omicidio suicidio a Rho, dove un uomo di 38 anni, un cittadino italiano pregiudicato, ha ucciso la sua fidanzata – una donna di 53 – e si è poi tolto la vita.
Teatro del dramma, che si è consumato nel pomeriggio di giovedì, è stata la casa in via Ticino nella quale viveva la coppia.
Stando a quanto appreso, a dare l’allarme è stata la mamma del 38enne, preoccupata perché il figlio non rispondeva più al telefono. Quando la donna si è recata nell’appartamento ha trovato l’uomo e la compagna distesi sul divano, già entrambi morti.
Secondo quanto finora ricostruito dagli investigatori, l’assassino avrebbe sparato un colpo di pistola alla testa della vittima e si sarebbe poi tolto la vita nello stesso modo. Nella sua mano destra i militari hanno trovato una revolver calibro 38 special, detenuta illegalmente, con all’interno cinque colpi, due dei quali esplosi.
Il lavoro dei carabinieri prosegue ora per ricostruire le ultime ore prima del dramma e la vita dei due: sembra che lui non avesse un’occupazione e che lei lavorasse come commessa.
Da “La Repubblica”. 31.03.2020
La vittima è una studentessa di Medicina originaria di Agrigento. L’uomo, un suo collega, ha tentato il suicidio. Il rettore dell’universistà: “Dramma della convivenza forzata”
FURCI SICULO (MESSINA) – “Venite, l’ho uccisa”. Ha strangolato la compagna e poi ha avvertito i carabinieri. L’ennesimo femminicidio, il diciannovesimo dall’inizio dell’anno, si è consumato questa mattina a Furci Siculo, in provincia di Messina, in un condominio nella zona nord del paese. La vittima è Lorena Quaranta, 27 anni, originaria di Favara (Agrigento), studentessa di Medicina all’Università di Messina. L’assassino è Antonio De Pace, di un anno più grande, originario di Vibo Valentia, infermiere e studente di Odontoiatria: ha tentato di suicidarsi, tagliandosi le vene, ma è stato salvato salvato dai carabinieri.
La prima ricostruzione degli investigatori dice che l’uomo avrebbe soffocato la compagna al termine di una violenta lite. La piccola comunità di Furci Siculo è sotto choc. “E’ un dramma nel dramma – dice il sindaco Matteo Francilia – Stamattina ci siamo svegliati con la notizia di questa tragedia. Siamo sconvolti, da sempre siamo in prima linea nel contrasto alla violenza di genere, abbiamo anche istituito un centro di ascolto. Chi si macchia di simili gesti deve marcire in galera”. Per il rettore dell’università di Messina, Salvatore Cuzzocrea, è una tragedia che si lega alla “condizione emergenziale che stiamo vivendo, nella quale esperti di settore avevano sottolineato il rischio che la convivenza forzata potesse acuire i conflitti familiari”.
Era una studentessa appassionata, Lorena. Il suo ultimo post, tre giorni fa. “Inaccettabile” aveva scritto, postando un articolo che raccontava dei medici uccisi dal Coronavirus. Lei aveva lanciato il suo appello: “Ora più che mai bisogna dimostrare responsabilità e amore per la vita. Abbiate rispetto di voi stessi, delle vostre famiglie e del vostro Paese. E ricordatevi di coloro che sono quotidianamente in corsia per curare i nostri malati. Rimaniamo uniti, ognuno nella propria casa. Evitiamo che il prossimo malato possa essere un nostro caro o noi stessi”. Sperava di diventare un medico in prima linea: nella copertina del suo profilo social aveva messo una sua foto con mascherina e cuffia, in corsia. Con una frase di commento: “Il mio posto”.
A Capodanno, invece, una foto gioiosa con il compagno: “Amo la gente un po’ folle – scriveva – gli abbracci improvvisi. I gesti spontanei, i sorrisi gratuiti… Chi ti regala attenzione, chi si ubriaca di emozioni. E ti contagia di gioia. Amo ogni secondo e ogni anno vissuto insieme a te. Buon 2020”. Sul profilo Facebook di Antonio De Pace è un fiume di insulti.
Ma cosa è accaduto stamattina? Dopo essere stato medicato, l’assassino si è chiuso in un lungo silenzio, poi invece ha detto di voler essere interrogato. Ha confessato il delitto, ma non spiega cosa è accaduto. Dopo una serie di frasi confuse pronunciate dall’assassino, i magistrati hanno interrotto l’interrogatorio. Ora, De Pace è in stato fermo, disposto dalla procura di Messina diretta da Maurizio de Lucia.