Queste linee guida sono il frutto del progetto di “ricerca-intervento” che dal 2013 l’associazione Libertas Margot – composta da professionisti che declinano le proprie competenze verso il sociale – svolge in Umbria.
L’obiettivo primario dell’associazione è la tutela delle vittime di violenza di genere, l’individuazione di un metodo che dia risposte alle vittime durante tutto il loro percorso di uscita dalla violenza, il contributo a costituire un “clima culturale” che porti a quella rivoluzione, a quel cambiamento sociale tanto auspicato che elimini o perlomeno riduca fortemente i comportamenti violenti contro le vittime di violenza di genere. Le competenze dei professionisti che collaborano con l’associazione – operatori di polizia, avvocati, psicologi, giornalisti, insegnanti, istruttori di protezione personale, medici, ma anche artisti, registi – unite al “lavoro sul campo”, cioè con le vittime di violenza che si rivolgono all’associazione, crediamo rendano l’esperienza di Libertas Margot unica nel suo genere e creino un contesto culturale e operativo che si è via via arricchito e definito negli anni.
L’associazione, dunque, contribuisce a contrastare la violenza all’interno delle relazioni affettive attraverso una formazione specializzata e la costruzione e alimentazione di reti con i servizi esistenti: molti dei nostri servizi cercano di andare a coprire gli anelli mancanti nella rete istituzionale. Inoltre molta parte del lavoro è teso a un accrescimento di consapevolezza delle competenze professionali e rivolto a un cambiamento di comportamento da parte di operatori e operatrici istituzionali a cui le vittime di violenza di genere si rivolgono: se le risposte che vengono date sono solo formalmente corrette ma non efficaci sia dal punto di vista della qualità sia da quello del tempo la vittima rischia di subire quella che viene tecnicamente definita come “vittimizzazione secondaria”: essere cioè sottoposta a una nuova forma di violenza, inflitta dall’intervento inefficace delle istituzioni che hanno, invece, il compito di tutelarla. Si sostiene spesso la necessità di mettere in atto una rivoluzione culturale come miglior antidoto alla violenza di genere e la si invoca indicando la scuola come il luogo deputato a farlo. Sicuramente questa è una delle direttrici in cui muoversi, ma non è l’unica. Una vera rivoluzione culturale si può attuare anche cambiando il modo di lavorare e l’approccio con le vittime proprio da parte degli operatori istituzionali, innescando un feedback virtuoso che inevitabilmente ingenererà fiducia nella vittima ma anche maggiore consapevolezza nello stesso operatore. La vera rivoluzione, dunque, è quella personale che può influenzare l’ambito professionale e la sfera personale perché la violenza di genere, in realtà, non è una mai una esplosione di rabbia ma un lungo percorso che parte da parole sbagliate e parole non dette. Un sentiero lastricato da indifferenza, stereotipi, sottovalutazioni.
E’ per questo che oggi ci sentiamo di condividere la nostra esperienza: lavoriamo insieme dal 2013 ma ciascuno di noi ha incontrato la violenza di genere nella sua professione e molto più a lungo l’ha trattata e per questo sentiamo forte la necessità che su questo tema si lavori utilizzando, in ogni campo, un linguaggio comune.
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