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di Alessandra Spinelli

Lo Straniero dei nostri giorni è quasi sempre italiano, ama le donne, mangia con loro, dorme con loro, vive con loro. È amico, marito, fidanzato, amante che, poi, troppe volte, si trasforma in assassino. La cronaca ha coniato il termine femminicidio per immortalare un semplice e orrendo omicidio, e la parola, per il genere della vittima, a volte distorce lo sguardo e persino il giudizio. Non fa così Vanna Ugolini, giornalista pura, cronista puntuale ed empatica del Messaggero, scrittrice e presidente dell’associazione Libertas Margot che si occupa proprio di violenza di genere.

Nel libro “Non è colpa mia”, scritto a quattro mani con la psicologa e psicoterapeuta Lucia Magionami, racconta la banalità del male, la normalità del male. E lo fa portando se stessa, il cuore e la mente, e dunque tutti noi, davanti a tre assassini, Luca, Giacomo, Luigi. Tre uomini normali: un addetto alle pulizie, un manager e un contadino.
Vanna Ugolini li ha cercati in carcere. Ha chiesto loro il perché. Perché hanno ucciso la moglie? Nessuno dei tre si è assunto la responsabilità dell’omicidio: «Non è colpa mia» . Culture diverse, modi differenti, silenzi o frasi spezzettate («la tradivo un attimino») , oppure allocuzioni manipolatorie, per tutti e tre c’è stato qualcosa che li ha indotti a uccidere: «c’era la neve e non ho parlato con l’amica», «c’era uno specchio e l’ho vista con un altro», «stavo sul trattore e l’acceleratore è andato».

Ed è qui che risuona il carattere di Meursault, protagonista dello Straniero di Camus, che uccide in fondo perché «faceva caldo». È un uomo senza mappa morale, senza più cardini culturali, senza più radici, un uomo del nostro tempo.

EMOZIONI
Non mostrano rimorsi nelle interviste, secche, senza retorica, coinvolgenti. E nel testo magistralmente orchestrato – tanto da essere pronto per una pièce teatrale – risalta chiaro il deserto emotivo. Non ci sono scatti d’ira, anzi le autrici lo sottolineano con forza che il raptus in psicologia e psichiatria non esiste e perciò non è un termine scientifico che possa spiegare il comportamento dell’uomo che uccide la sua compagna. Neanche nelle inchieste giornalistiche che spesso lo usano quasi per lenire l’orrore.

No, il percorso verso il femminicidio, è una via normale, fatta di vita normale, magari di silenzi che amplificano preconcetti e cristallizzano l’inespressività dei sentimenti e l’incapacità del dialogo. Non si riconosce e non si accetta il diverso da sè, lo spiega Lucia Magionami. E alla fine il nocciolo è lì: «Arriviamo a un punto e decidiamo se usare la ragione o la forza». E in questo assegnare alla violenza, e quindi alla non violenza, il carattere di scelta c’è la possibilità di una cambiamento sociale. Quasi un messaggio di speranza. Purtroppo lo Straniero, che è tra noi, ancora non lo sa.